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SICUREZZA SUL LAVORO

10.01.2017 21:13
 
 
 

SICUREZZA SUL LAVORO E TUTELA SALUTE

05.01.2017 11:21

SICUREZZA SUL LAVORO: KNOW YOUR RIGHTS! – NEWSLETTER N. 274 DEL 03/01/17

 

In allegato e a seguire la Newsletter n. 274 del 03/01/17 di “Sicurezza sul lavoro: Know Your Rights!”.

 

INDICE

-         Infortunio sul lavoro e lesioni: il dipendente ha diritto a essere protetto e alla formazione sui rischi

-         Cassazione: sì al risarcimento per il militare morto per l’uranio impoverito

-         Amianto: obbligo di denuncia e bonifica anche per privati e condomini

-         Come prevenire gli infortuni nell’uso dei carrelli elevatori

-         Imparare dagli errori: quando non si utilizzano calzature di sicurezza

-         Luoghi di lavoro: pavimenti, servizi igienici, illuminazione e aerazione

-         Imparare dagli errori: tutelare la salute e la sicurezza nelle saldature

 

Invito ancora tutti i compagni della mia mailing list che riceveranno queste notizie a diffonderle in tutti i modi.

La diffusione è gradita e necessaria. L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile la cultura della salute e della sicurezza e la consapevolezza dei diritti dei lavoratori a tale proposito.

L’unica preghiera, per gli articoli firmati da me, è quella di citare la fonte.

 

Marco Spezia

ingegnere e tecnico della salute e della sicurezza sul lavoro

Progetto “Sicurezza sul Lavoro! Know Your Rights”

Medicina Democratica - Movimento di lotta per la salute onlus

sp-mail@libero.it

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007166866156

 

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INFORTUNIO SUL LAVORO E LESIONI: IL DIPENDENTE HA DIRITTO A ESSERE PROTETTO E ALLA FORMAZIONE SUI RISCHI

 

Da Studio Cataldi

https://www.studiocataldi.it

14/11/16

 

Nota di commento alla sentenza della Corte di Cassazione penale n. 34782/2016.

Nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, il datore ha specifici obblighi nei confronti del dipendente: valutare i rischi, fornire i dispositivi di protezione individuale, formare il lavoratore sui rischi specifici derivanti dalle mansioni svolte.

 

La materia, che riguarda la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, viene affrontata nella sentenza della Cassazione in commento (la n. 34782/2016), dove all’amministratore di una società viene ascritto il reato di lesioni colpose perché metteva a disposizione e faceva utilizzare al personale dipendente una scala metallica non conforme a determinati requisiti, provocando tra l’altro al dipendente lesioni personali con malattia di lunga durata. Lo si rimproverava inoltre in quanto non aveva valutato i rischi di scivolamento e di caduta dei lavoratori che utilizzavano la scala fissa a gradini; non aveva fornito al dipendente i necessari dispositivi di protezione individuale (scarpe antinfortunistiche); non aveva formato il lavoratore circa i rischi derivanti dalle mansioni svolte.

 

Si tratta di circostanze delicate, dove sono in gioco diritti di rango primario delle persone che lavorano.

La Corte, in occasione del processo qui commentato, è stata molto chiara.

 

Dalla documentazione acquisita agli atti nelle fasi precedenti della causa non risulta la consegna di scarpe antinfortunistiche, ma di scarpe semplici (stivali). Solo successivamente al sinistro la ditta ha messo a disposizione del personale le previste scarpe e la dotazione antinfortunistica completa.

 

La norma è rigida e non si accontenta di prevedere un obbligo generico di fornire al dipendente questo materiale, ma chiede in aggiunta una vigilanza sul rispetto delle regole antinfortunistiche, potendo ricorrere al limite a provvedimenti disciplinari nel caso i lavoratori non le rispettino e non si adeguino.

 

Sul fronte della formazione del dipendente, la sentenza tratteggia altri nodi critici della vicenda.

Il datore, in pratica, ha trascurato l’adempimento del proprio dovere di vigilanza e controllo, affidando o delegando tale onere ad un’altra figura: il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione.

Così facendo ha finito però per scambiare la semplice “funzione ausiliaria” del Responsabile di tale Servizio con una “funzione sostitutiva” dei suoi compiti. Il che non è ammissibile.

 

Infine, la sentenza spiega in modo chiaro che non si può assegnare alcuna colpa (o concorso di colpa) al dipendente per aver trascurato anche lui le regole della sicurezza al lavoro.

Il rispetto pieno delle norme antinfortunistiche implica che esse sono destinate a garantire la sicurezza delle condizioni di lavoro anche se si verifica una disattenzione del lavoratore.

La sicurezza sul lavoro implica, in definitiva, che gli obblighi di vigilanza gravanti sul datore sono congegnati in modo tale da prevedere anche la possibile imprudenza o negligenza del dipendente.

 

Come comportarsi in casi simili.

Prevenire il contenzioso: il rispetto assoluto delle norme sulla sicurezza in ambiente di lavoro garantisce la protezione della propria salute e della vita stessa.

Gestire il contenzioso: il datore dovrà dimostrare di aver osservato scrupolosamente le norme di settore in materia di tutela della salute e della sicurezza sul posto di lavoro; nel caso quella prova non venga raggiunta, il dipendente potrà proporre domanda di risarcimento del danno.

 

Altre informazioni su questo argomento?

Contatta l’avvocato Francesco Pandolfi

cellulare: 328 60 90 590

mail: francesco.pandolfi66@gmail.com

 

La Sentenza n. 34782 della Corte di Cassazione Penale Sezione Feriale del 10/08/16 è consultabile all’indirizzo:

https://www.ambientediritto.it/home/giurisprudenza/corte-di-cassazione-penale-sez-feriale-10082016-sentenza-n34782

 

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CASSAZIONE: SI’ AL RISARCIMENTO PER IL MILITARE MORTO PER L’URANIO IMPOVERITO

 

Da Studio Cataldi

https://www.studiocataldi.it

21/11/16

 

Per le sezioni unite, sono vittime del dovere i militari morti per le malattie contratte dopo la missione in Bosnia

 

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno disposto, con la sentenza n. 23300/2016, che il militare colpito da patologia fatale causata dal contatto con l’uranio impoverito (sostanza notoriamente cancerogena), fa parte della categoria delle “vittime del dovere”.

 

La vicenda vede protagonista un militare ventisettenne che, in seguito a missioni in Somalia e Bosnia nell’anno 2000, muore a causa di un tumore. I giudici di secondo grado hanno riconosciuto la richiesta di risarcimento addotta dagli eredi del giovane militare ai sensi della Legge 266/05.

 

Il Ministero della Difesa contesta tale decisione e propone ricorso sostenendo che nella fattispecie si esclude il diritto soggettivo in ragione di ciò che si evince dalle valutazioni del comitato di verifica per le cause di servizio.

 

La Corte precisa, invece, che nel caso in specie i benefici accordati in favore alle vittime del terrorismo e della criminalità si estendono alle cosiddette “vittime del dovere”; detta estensione è dovuta alla disciplina dell’articolo 1 nei commi 562-565 della Legge 266/05.

Inoltre, viene sottolineato che si considerano “vittime del dovere” i soggetti indicati nell’articolo 3 della Legge 466/80 come disposto dal comma 563 della legge sopracitata del 2005.

In particolare si fa riferimento ai dipendenti pubblici deceduti o invalidi in maniera permanente a seguito di attività di servizio o nell’esercizio di funzioni di istituto conseguenti a lesioni derivanti da eventi verificatisi:

-         nel contrasto a ogni tipo di criminalità;

-         nello svolgimento di servizi di ordine pubblico;

-         nella vigilanza a infrastrutture civili e militari;

-         in operazioni di soccorso;

-         in attività di tutela della pubblica incolumità;

-         a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteri di ostilità.

 

Altresì, i soggetti beneficiari sono, oltre ai soggetti di cui al comma 563, anche chi a seguito di missioni nazionali o internazionali, muoia o sia colpito da infermità permanente e ciò sia causato dalle condizioni ambientali e operative peculiari del servizio. Quindi, il comma 564 equipara tali soggetti a quelli di cui il comma precedente ampliando la categoria dei beneficiari.

 

Il giovane militare durante le missioni alle quali aveva preso parte era venuto a contatto più volte con uranio impoverito ritenuto la causa dell’insorgere della patologia e della relativa morte.

Orbene, il ricorso del Ministero della Difesa viene respinto proprio in ragione del nesso di causalità tra la sostanza ritenuta cancerogena e la patologia che ha causato la morte del militare.

Al rigetto del ricorso segue la condanna in capo al Ministero al pagamento delle spese giudiziarie.

 

Avvocato Gioia Fragiotta

gioiafra@hotmail.com

 

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AMIANTO: OBBLIGO DI DENUNCIA E BONIFICA ANCHE PER PRIVATI E CONDOMINI

 

Da Studio Cataldi

https://www.studiocataldi.it

05/12/16

di Marina Crisafi

 

Presentato il Testo Unico sull’amianto di 128 articoli. Ecco le novità introdotte.

 

128 articoli, suddivisi in 8 titoli. Sono questi i numeri del nuovo Testo Unico sull’amianto presentato oggi in occasione della II Assemblea Nazionale sul tema. Testo che estende, innanzitutto, l’obbligo di denuncia e di bonifica a tutti gli edifici, compresi quelli privati, per poter garantire una mappatura affidabile da parte di Regioni e ASL e l’obbligo di trasmissione da parte del medico e dell’ASL ai Centri Operativi Regionali (COR) delle informazioni relative ai pazienti, in caso di accertamento della malattia, ai fini dell’inserimento nel registro tumori presso l’INAIL (ReNaM). Queste le novità più importanti illustrate nel corso della presentazione dalla Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali e prima firmataria del Disegno di Legge (2602) presentato al Senato, Camilla Fabbri.

 

L’obiettivo del nuovo testo, è quello di mappare tutto l’amianto presente a livello nazionale e censire le patologie, senza più discrepanze regionali, oltre che riconvertire le aree dismesse e istituire un’Agenzia Nazionale. In sostanza, spiega la Fabbri, “riordinare e integrare tutta la complessa e contraddittoria normativa, garantendo efficacia all’azione legislativa e amministrativa, ma anche certezza di giustizia alle vittime e alle loro famiglie”.

 

A 24 anni dalla Legge 257/92, con la quale è stato bandito l’amianto, infatti, ad oggi, “ci sono ancora oltre 55.000 (al momento della mappatura) siti contaminati in tutta Italia” ha rincarato nel suo intervento il Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti; perciò, ha confermato il guardasigilli Andrea Orlando all’incontro, “il quadro normativo si è dimostrato inadeguato per contraddittorietà, sovrapposizioni, discontinuità”.

 

Da qui l’esigenza non più derogabile di un Testo Unico che rappresenta un “punto di partenza”, a disposizione delle associazioni e delle diverse realtà per eventuali suggerimenti e che tocca, ha concluso la Fabbri, “diverse materie: dall’ambiente alla sicurezza del lavoro, dallo sviluppo alla giustizia”.

 

A seguire si riportano, sinteticamente, i punti chiave del Disegno di Legge.

 

CAMPO DI APPLICAZIONE

Il Testo Unico individua quale campo di applicazione tutte le strutture edilizie, sia pubbliche che private, nonché i siti industriali dismessi, i mezzi di trasporto e i macchinari.

Si tratta di una novità rispetto alla Legge che governa attualmente la materia (la 257/92) che si occupa soprattutto di edifici pubblici.

 

OBBLIGO DI DENUNCIA

Il Disegno di Legge individua, innanzitutto, il soggetto titolare degli obblighi di bonifica nel proprietario dell’edificio (o dei beni da bonificare) e, nel caso di condomini, nell’amministratore.

Viene introdotto quindi per la prima volta un soggetto “obbligato” a bonificare non solo il luogo di lavoro ma anche l’”ambiente di vita”.

Un’altra importante novità è l’introduzione dell’obbligo di valutazione del rischio e di denuncia degli edifici (o dei beni) che possono emanare fibre di amianto ai fini della mappatura da parte delle regioni e delle ASL che dovranno formulare il piano regionale ad hoc.

 

SICUREZZA SUL LAVORO E MISURE PREVIDENZIALI

Si allarga la platea delle attività lavorative oggetto di tutela. La stessa viene estesa infatti anche a quelle che espongono ad un rischio indiretto e a quelle che possono causare un rischio per l’ambiente esterno. Viene stabilito l’obbligo per il datore di lavoro di occuparsi non soltanto dei dipendenti, ma anche della collettività.

Quanto alle misure previdenziali, viene stabilito che ai fini del beneficio pensionistico per i lavoratori esposti all’amianto (per un periodo non inferiore a 10 anni), l’INAIL debba computare altresì i permessi, le ferie, le festività, la malattia, l’infortunio o la cassa integrazione.

 

SANZIONI PER CHI NON TUTELA LA SALUTE

Il Disegno di Legge prevede altresì l’obbligo di trasmissione (da parte di medici e ASL) ai Centri Operativi Regionali (COR) delle informazioni acquisite, nel caso di accertamento di patologia, ai fini dell’inserimento nel registro tumori presso l’INAIL (ReNaM).

Le violazioni saranno sanzionate severamente. Viene introdotta, infatti, l’omissione di referto per il sanitario che non segnala e quella di atti d’ufficio per il centro che non registra.

 

NASCE L’AGENZIA NAZIONALE AMIANTO

Il Testo Unico istituisce anche un nuovo soggetto, l’Agenzia Nazionale dell’Amianto che dovrà occuparsi dell’acquisizione dei censimenti e dei piani regionali; della formazione del personale ispettivo e tecnico (anche delle ASL, dell’Ispettorato Nazionale, dell’INPS e dell’INAIL); del coordinamento nazionale della vigilanza nonché della costituzione dell’albo dei consulenti tecnici e dei periti.

 

ASPETTI PROCESSUALI

Il Disegno di Legge si occupa anche degli aspetti processuali, raddoppiando i termini delle indagini preliminari e della prescrizione nel caso di processi per i reati di disastro, lesioni e morti per malattie derivate dall’asbesto. Viene introdotto anche l’obbligo speciale di ricorrere all’incidente probatorio per la testimonianza della persona offesa e per la perizia e garantito il patrocinio a spese dello Stato per le vittime dell’amianto e i familiari nell’ambito dei processi per disastro, omicidio, lesioni.

 

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COME PREVENIRE GLI INFORTUNI NELL’USO DEI CARRELLI ELEVATORI

 

Da: PuntoSicuro

https://www.puntosicuro.it

28 novembre 2016

 

Indicazioni per la prevenzione nell’uso dei carrelli elevatori nel comparto metalmeccanico. I rischi infortunistici, di ribaltamento, di investimento, di caduta materiale, di esplosione e di inalazione gas o fumi di scarico.

 

Sappiamo quanto l’uso dei carrelli elevatori comporti nelle attività lavorative situazioni di rischio, sia per i carrellisti, sia per gli altri lavoratori che operano negli ambienti dove queste attrezzature circolano.

Sono state infatti molte, in questi anni, le puntate della rubrica “Imparare dagli errori”, dedicata al racconto degli infortuni e alla raccolta di spunti di prevenzione, dedicate proprio agli incidenti con i carrelli elevatori.

 

Oggi torniamo a parlare della prevenzione degli infortuni con queste attrezzature di lavoro, ma con particolare riferimento al comparto metalmeccanico e a due tipologie di carrelli: i carrelli elettrici e i carrelli a motore endotermico.

 

E lo facciamo attraverso le indicazioni di ImpresaSicura, un progetto multimediale (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia Romagna e INAIL), che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013.

Nel documento dedicato al comparto metalmeccanico sono infatti raccolti dettagliatamente i rischi correlati all’uso dei carrelli e i possibili interventi di prevenzione.

 

Soffermiamoci inizialmente solo sui fattori di rischio e sulle possibili cause di infortunio:

-         rischio di ribaltamento/rovesciamento: trasporto carichi con forche sollevate (modalità d’uso errata); eccessiva velocità e manovre spericolate (modalità d’uso errata); pavimenti sconnessi (problemi ambientali); errato caricamento (modalità d’uso errata);

-         rischio di investimento: non corretta organizzazione del lay-out; manovre o conduzione del carrello incoerenti; segnaletica carente o mancante; mancanza di segnalazione acustica e/o luminosa;

-         rischio di caduta materiale: mancata imbracatura del carico o di idonei contenitori; manovre errate ed uso improprio come apparecchio di sollevamento; non idonei sistemi di immagazzinamento;

-         rischi infortunistici (cesoiamento, schiacciamento, rischi connessi all’avviamento accidentale): movimento delle catene; scorrimento delle forche sui montanti non protetti; regolazione manuale e cambio delle forche; comandi non protetti o non realizzati con sistema di avviamento solo volontario;

-         rischi di esplosione dovuti al potenziale rilascio di idrogeno nella fase di caricamento batterie (carrelli elettrici): non sufficiente e adeguata aerazione naturale;

-         rischi di inalazione gas o fumi di scarico: uso di carrelli con motore endotermico in ambienti chiusi.

 

Posto che i carrelli devono sempre rispondere a tutte le disposizioni di sicurezza riportate nelle normative specifiche, veniamo ora alla prevenzione riportando di seguito le modalità comportamentali che devono essere attivate per eliminare o ridurre i rischi citati.

 

Riguardo alla prevenzione dei rischi di rovesciamento e di investimento:

-         conduzione attenta e responsabile del carrello;

-         rispetto della velocità massima stabilita;

-         buona organizzazione della segnaletica orizzontale/verticale;

-         segnalazione acustica in prossimità di curve;

-         carico verso monte durante le discese di dislivelli.

 

Infatti la guida dei carrelli deve sempre avvenire nel rispetto delle istruzioni e della formazione acquisita. Non devono mai essere eseguite manovre potenzialmente pericolose e non previste durante il corso di formazione alla guida dei carrelli. La guida deve avvenire nel massimo rispetto della segnaletica orizzontale e/o verticale, mantenendo una velocità coerente con gli ambienti e gli spazi dove avvengono le manovre. In prossimità di curve o di passaggi che non consentono la perfetta visibilità si deve procedere molto lentamente attivando, se necessario, gli avvisatori acustici. I carichi devono essere sempre trasportati con le forche abbassate per evitare che il baricentro dell’insieme sia elevato e facilmente sbilanciabile. Il transito su piani inclinati deve sempre avvenire con il carico a monte rispetto alla posizione del posto di guida. In caso di trasporto di carichi ingombranti che limitano la visuale all’operatore addetto alla guida, si dovrà procedere in retromarcia o dovranno essere presenti operatori a terra che dirigono la manovra.

 

Importante poi la prevenzione dei rischi di investimento:

-         corretta organizzazione del lay-out tale da garantire spazio sufficiente per le manovre e per il transito delle persone;

-         formare e addestrare il personale appositamente designato alla conduzione dei carrelli;

-         apporre segnaletica di sicurezza chiara e ben visibile;

-         mantenere efficienti i sistemi frenanti e di segnalazione acustica e/o luminosa.

 

Infatti gli spazi in cui si muovono i carrelli elevatori (cortili, magazzini e in generale ambienti di lavoro) devono essere organizzati in modo tale da garantire: spazio di manovra adeguato sia al mezzo che al carico, spazio dedicato per eventuali pedoni e pavimentazione regolare e priva di ostacoli. Queste precauzioni, unite ad un’adeguata segnaletica e all’impiego di personale appositamente designato e addestrato, riducono sensibilmente il rischio di investimento. Il mezzo va mantenuto efficiente: freni e segnalatori devono essere controllati quotidianamente.

 

E’ necessaria anche la prevenzione dei rischi infortunistici:

-         proteggere con schermi fissi le zone di scorrimento delle forche sui montanti non protetti;

-         utilizzare idonee attrezzature e guanti resistenti durante la regolazione manuale e il cambio delle forche;

-         proteggere i comandi o prevedere un sistema di avviamento solo volontario.

 

Il documento sottolinea che il rischio di infortunarsi durante l’uso del carrello può essere determinato anche dalla presenza di elementi pericolosi non protetti adeguatamente: le zone in cui è presente il rischio di cesoiamento, di schiacciamento o di trascinamento di parti del corpo dell’operatore devono, ad esempio, essere rese inaccessibili. Anche le leve di comando e gli interruttori dovranno essere protetti per evitare movimenti accidentali delle forche o del mezzo stesso. Il sistema migliore per evitare questo problema è determinato dalla presenza di leve ad innesto volontario (come il cambio della nostra automobile).

 

Veniamo ora alla prevenzione dei rischi di caduta di materiali:

-         utilizzo di idonei contenitori e/o adeguata imbracatura dei carichi;

-         utilizzo di accessori e/o attrezzature compatibili con il carrello;

-         adeguata organizzazione delle modalità di immagazzinamento.

 

Queste le spiegazioni contenute nel documento: il trasporto dei materiali deve sempre avvenire previa verifica della stabilità del carico. Bisogna assicurarsi che il materiale o i contenitori siano adeguatamente appoggiati sulle forche e che le forche stesse siano inserite correttamente sotto il carico da sollevare. In alcuni casi può essere necessario prevedere idonee imbracature. Non devono mai essere montati accessori per il sollevamento differenti da quelli previsti in origine dal costruttore del carrello (funi, ganci, ecc.). L’utilizzo di ceste per il sollevamento di persone deve essere previsto dal costruttore e le attrezzature necessarie devono essere dotate di tutti i dispositivi previsti dalla normativa vigente. Il carrello utilizzato deve essere compatibile con il sistema di immagazzinamento adottato nell’azienda. In particolare gli spazi tra gli scaffali devono consentire le manovre in sicurezza e le modalità di stoccaggio dei materiali devono consentire il movimento in sicurezza durante la salita e la discesa, nonché l’avanzamento e l’arretramento delle forche.

 

Ai carrelli possono poi essere correlati dei rischi di esplosione.

Queste le misure di prevenzione:

-         utilizzo di locali adeguatamente aerati per il caricamento delle batterie;

-         separazione dei locali carica batterie dalle altre zone di lavoro;

-         evitare fonti di innesco;

-         realizzazione di impianti elettrici di tipo antideflagrante.

 

Infatti durante la carica della batteria si sviluppa idrogeno che, combinandosi con l’ossigeno presente nell’aria, forma una miscela facilmente infiammabile ed esplosiva. Per questo motivo è necessario eliminare ogni possibilità di innesco: non fumare o portare fiamme libere in prossimità di una batteria in carica o appena caricata, non disinserire il cavo di alimentazione prima di aver disconnesso elettricamente il caricabatterie poiché potrebbero svilupparsi scintille. Per le stesse ragioni è necessario che l’intero impianto elettrico del locale adibito alla carica sia di tipo antideflagrante. Occorre ricordare che durante la fase di ricarica, una certa quantità di acqua si vaporizza trascinando con sé vapori di acido che, se inalati, possono irritare le prime vie respiratorie (naso, gola, bronchi), mentre prolungate esposizioni possono determinare malattie croniche (infiammazioni croniche).

 

Concludiamo questa rassegna di misure di prevenzione parlando dei rischi connessi all’inalazione di gas o fumi di scarico:

-         divieto di utilizzo di carrelli con motore endotermico in ambienti chiusi;

-         in casi particolari, utilizzo solo per brevi periodi e con adeguata aerazione degli ambienti;

-         predisposizione di eventuali aspirazioni/aerazioni aggiuntive negli ambienti;

-         carrelli con motore endotermico con sistemi per l’abbattimento dei gas di scarico.

 

Veniamo all’approfondimento delle misure indicate: i carrelli elevatori con motore endotermico (azionati da motore a combustione interna: benzina, gas di petrolio liquido, gasolio) sviluppano gas di scarico e principalmente CO (monossido di carbonio) altamente tossico. Per tali motivi è di norma vietato l’uso di questo tipo di mezzi negli ambienti di lavoro; se per situazioni eccezionali si è costretti a impiegarlo si devono adottare misure di contenimento per evitare il diffondersi dell’inquinante prodotto, come ad esempio: l’impiego di depuratori o catalizzatori applicati direttamente al tubo discarico, o provvedere ad un potenziamento del ricambio dell’aria nell’ambiente.

 

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IMPARARE DAGLI ERRORI: QUANDO NON SI UTILIZZANO CALZATURE DI SICUREZZA

 

Da: PuntoSicuro

https://www.puntosicuro.it

01 dicembre 2016

di Tiziano Menduto

 

Esempi di infortuni correlati al mancato uso di indumenti di protezione individuale per i piedi. La dinamica degli infortuni, le calzature antinfortunistiche, i requisiti per la sicurezza e le categorie in base alla protezione.

 

Sono molti gli ambienti e le attività lavorative dove i piedi hanno la necessità di essere protetti da dispositivi di protezione e sono molti i rischi a cui i nostri piedi possono essere soggetti: schiacciamento, scivolamento, urti, tagli, umidità, temperatura, ecc.. E non bisogna dimenticare anche i vari rischi elettrici, chimici e biologici che possono richiedere specifiche protezioni e idonee calzature di sicurezza.

 

E dunque non potevamo non riservare alla protezione dei piedi almeno una tappa nel lungo viaggio di “Imparare dagli errori”, la rubrica dedicata al racconto e all’analisi degli infortuni, attraverso le conseguenze dell’uso errato o mancato dei dispositivi di protezione nei luoghi di lavoro.

Come sempre le dinamiche degli infortuni presentati sono tratte dalle schede di INFOR.MO., strumento per l’analisi qualitativa dei casi di infortunio collegato al sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi.

 

Il primo caso riguarda un infortunio con frattura ad un piede.

Un lavoratore al termine del suo turno di lavoro sta aiutando un collega nel posizionamento di una valvola a sfera sul banco prova.

Dopo averla posizionata e aver messo in pressione il banco che blocca la valvola, il lavoratore sale sul macchinario e inizia a rimuovere l’imbracatura.

A quel punto la valvola si muove verso il basso andando a schiacciare il piede del lavoratore. L’operatore, infatti, aveva tolto le fasce di imbracatura salendo sulla macchina e non indossava scarpe antinfortunistiche.

Questi i fattori causali:

-         l’operatore ha tolto le fasce di imbracatura salendo sulla macchina;

-         mancato uso scarpe antinfortunistiche.

 

Il secondo caso riguarda un infortunio con frattura di un dito del piede.

Un lavoratore nell’intento di raddrizzare un cavalletto metallico di circa 200 kg utilizza un sollevatore magnetico a comando manuale, accessorio del carro ponte elettrico.

Dopo aver agganciato il sollevatore al carro ponte, cerca di sollevare il cavalletto per farlo ruotare e rimetterlo in piedi.

Durante la manovra di sollevamento il carico perde il contatto con il sistema a magnete permanente e, sganciandosi, cade sul piede dell’infortunato che al momento dell’evento non indossa le scarpe antinfortunistiche.

Questi i fattori causali rilevati:

-         l’infortunato agganciava il carico in modo errato;

-         non indossava le scarpe antinfortunistiche.

 

Anche in questo caso per avere qualche suggerimento relativo alla prevenzione degli infortuni e alla protezione dei piedi, possiamo fare riferimento al progetto multimediale Impresa Sicura (elaborato da EBER, EBAM, Regione Marche, Regione Emilia-Romagna e INAIL) che è stato validato dalla Commissione Consultiva Permanente per la salute e la sicurezza come buona prassi nella seduta del 27 novembre 2013. Progetto che ha prodotto, tra le altre cose, anche una raccolta dettagliata di informazioni sui Dispositivi di Protezione Individuale nel documento “ImpresaSicura DPI”.

 

Nel documento è, ad esempio, presentata la struttura interna ed esterna delle calzature di sicurezza e si ricorda che per evitare la contaminazione delle scarpe o degli stivali da materiale chimico o biologico, è possibile anche l’utilizzo di sovrascarpe/sovrastivali monouso, antiscivolo e antistatici, generalmente dotati di elastico o di lacci da legare sopra la tuta alla caviglia o al polpaccio. E in commercio si trovano anche sovrascarpe/sovrastivali di protezione contro altri rischi quali il calore, il freddo. Inoltre quando è necessario proteggere i polpacci si utilizzano stivali ma anche ghette. Le ghette, a differenza degli stivali, sono un accessorio costituito solo dal gambale; ha il vantaggio di poter essere indossato e tolto senza coinvolgere la calzatura e quindi può essere utilizzato solo quando serve.

 

Il documento diporta poi nel dettaglio i vari requisiti richiesti per le calzature antinfortunistiche con riferimento alla sicurezza, alla salute/comfort e all’estetica.

 

Queste sono alcune possibili caratteristiche relative alla sicurezza:

-         tomaio resistente allo strappo e alla flessione;

-         fodere resistenti allo strappo e all’abrasione;

-         suola resistente all’abrasione, alle flessioni, all’idrolisi, agli idrocarburi;

-         resistenza al distacco della tomaio/suola;

-         resistenza alla corrosione dei puntali metallici;

-         protezione da rischio di scivolamento;

-         resistenza del battistrada agli oli minerali;

-         protezione delle dita del piede con puntale in acciaio resistente all’impatto fino a 200 Joule.

 

Si indica che le calzature antinfortunistiche si differenziano poi in relazione alle esigenze specifiche di utilizzo e alle caratteristiche corrispondenti richieste. E dunque la scelta del corretto dispositivo di protezione dei piedi dipende dalla mansione del lavoratore, dalle caratteristiche delle stesse e dai rischi presenti nei luoghi di utilizzo. Sono infatti disponibili calzature di materiale diverso e con caratteristiche diverse, quindi il termine generico “calzature antinfortunistiche” non è indicativo della esclusività del dispositivo di protezione.

 

Sono individuate due classi principali, in base al materiale del corpo della calzatura:

-         tipo I: calzature di cuoio o altri materiali, escluse le calzature interamente in gomma o in polimero;

-         tipo II: calzature interamente in gomma o in polimero.

 

E, infine, le classi I e II si possono distinguere in 3 categorie (di sicurezza, di protezione, da lavoro, cui corrispondono le sigle S, P, O derivanti dalle definizioni in inglese) in base alle caratteristiche di protezione, definite da norme tecniche separate: la differenza fra i tre tipi è data, in sostanza, dal diverso grado di protezione del puntale (assente in quelle da lavoro e in grado invece di assorbire la caduta di un peso di 20 kg da un’altezza di 1 metro, in quelle di sicurezza). Inoltre, poiché gli scivolamenti e le cadute sono tra le maggiori cause di infortunio sul lavoro tutte le calzature antinfortunistiche (classe I o II) devono essere resistenti allo scivolamento.

 

Nel documento sono poi riportati anche i requisiti di protezione aggiuntivi alle dotazioni di base minime, requisiti che possono essere necessari per proteggere da alcuni rischi specifici.

 

Il link al sito web di INFOR.MO. di cui nell’articolo sono state presentato le schede numero 3589 e 3614 è:

https://appsricercascientifica.inail.it/getinf/informo/home_informo.asp

 

 

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