partecipare è libertà

siamo tutte/i no tav

19.07.2020 11:25

siamo tutte/i NO TAV

dai Mulini della Val Susa giunge questo scritto ..............

Avanti No Tav!

Il 20 giugno scorso in un gruppo di giovani e meno giovani siamo andati ad occupare una parte di terreno in prossimità del cantiere che da trent’anni devasta la terra della Val di Susa e chi l’abita.

Da quel giorno non ce ne siamo più andati e con gioia, determinazione e rabbia son stati tanti i No Tav che scendendo e salendo per i sentieri delle montagne ci hanno portato viveri ed energia per resistere e continuare ad animare il presidio.
Chi da anni lotta in Val di Susa sa già che il progetto del Tav rappresenta un’impossibilità per costruire un presente e un futuro diversi.
Chi invece in queste ultime settimane ha vissuto insieme a noi questa nuova esperienza tra i mulini, gli alberi e gli animali, proprio lì accanto a quel mostro, può testimoniare, invece, che un modo alternativo di vivere esiste e che la terra della Valle Susa e la sua gente aprirà sempre le braccia a chi vorrà difenderla da speculatori devastatori ambientali e polizia che da troppo tempo ormai la occupano.
La straordinaria unicità del movimento NoTav sta nella forza rigenerativa di chi lo compone e il ricco scambio che tante generazioni a confronto si danno uniti nella lotta per la libertà di una terra e per la libertà di tutte e tutti.
Stiamo scrivendo una nuova pagina della storia di Resistenza NoTav e che dire..
A SARÀ DÜRA, SI MA PER LORO!

Grazie a Michele @zerocalcare per aver realizzato il manifesto del presidio dei mulini.

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Avviso orale del questore ad Ermelinda, non ci faremo intimidire!

15 Luglio 2020


E’ stato notificato questa mattina l’avviso orale da parte del Questore di Torino ad Ermelinda, attivista No Tav della prima ora, del Comitato di Lotta Popolare di Bussoleno  e delle Fomne Contra’l Tav.

Questo provvedimento si inserisce sulla scia di altri simili (sono circa una ventina tra la Valle e Torino) e come destinatari troviamo sempre i No Tav più attivi.

L’avviso orale è una vera e propria minaccia in quanto preannuncia la possibilità, qualora le persone coinvolta non smetta di partecipare ad iniziative di lotta, di applicazione dell’articolo 1, la sorveglianza speciale prevista per i soggetti socialmente pericolosi. Tale misura, pensata per i sorvegliati di mafia e fortemente restrittiva e dalla durata variabile, può comportare l’obbligo di dimora nel comune di residenza, la sospensione della patente, il divieto a partecipare a riunioni e manifestazioni e molto altro…

Una nuova forma di intimidazione insomma, in attesa che la procura guidata da una frustrata Questura torinese possa procedere con la prossima operazione fuffa, volta a colpire chi, con coraggio e determinazione, continua a denunciare l’illegittimità di un cantiere devastatore simbolo del marcio che c’è dietro il sistema delle Grandi Opere, dannoso per l’ambiente ed il clima, foriero della militarizzazione della valle.
Solidarietà quindi ad Ermelinda e a Emilio, Nicoletta, Giorgio, Brescia e Mattia, che continuano ad essere sottoposti alle angherie della procura e della questura torinesi.

 

CARA ERMELINDA ,
Intendo manifestarti tutta la mia vicinanza  contro questa canagliata che colpisce una delle donne più in gamba della Valle , e attraverso te colpire le tante donne che sono l'anima della invincibile battaglia NO TAV.
So bene quanto sei tosta e che questo ignobile strumento non farà che rafforzare la tua determinazione nel chiudere al più presto quest'opera inutile,costosa e dannosa.
Siamo da sempre al tuo/vostro fianco, niente resterà impunito.
Con rinnovato affetto, un bacio
Avanti NO TAV
Vincenzo
 
 

Movimento No Tav, carcere, progetti futuri: intervista a Nicoletta Dosio

In questi giorni in cui il progetto Tav in Val Susa ha ricominciato a far parlare di sé, abbiamo intervistato Nicoletta Dosio, storica esponente del Movimento No Tav, che ci ha risposto ad ampio spettro sulla sua esperienza di attivista, il futuro del Movimento No Tav, la situazione carceraria e le lotte per la difesa dei beni comuni(Pressenza).

Come sta attualmente?

Fisicamente sto come una settantaquattrenne non troppo bene in arnese. Psicologicamente mi sento come chi è forzatamente escluso dalla vita attiva. Mi trovo a sperimentare la situazione degli eretici nell’Inferno dantesco: il loro tormento non è tanto il supplizio delle arche infuocate, ma il fatto che in essi rimane intatta la memoria del passato e possibile la previsione del futuro, mentre nulla sanno e nulla possono rispetto ad un presente che sono costretti a vivere nel cono d’ombra che offusca loro la conoscenza e rende impossibile l’azione. E’ una sensazione che si vive all’ennesima potenza in carcere e che continua anche per chi è ristretto ai domiciliari.

Al momento qual è la Sua situazione legale?

La pena definitiva di un anno in carcere è stata tramutata, per l’emergenza covid, negli arresti domiciliari fino a fine anno. Un provvedimento che doveva essere applicato per ovviare al pericolo contagio, reso drammatico dal sovraffollamento delle carceri e dalla grave carenza di mezzi di prevenzione (niente mascherine, niente sanificazioni efficaci: i detenuti non possono tenere candeggina, alcool e altri strumenti di disinfezione. Solo nelle ultime settimane i corridoi e le parti esterne dei blindi venivano molto sommariamente irrorati tramite un erogatore che mi ricordava la pompa dl verderame e i lavori di vigna).

In realtà, pur essendo alto il numero dei detenuti con patologie a rischio, per i quali il provvedimento prevedeva il ritorno a casa, uscimmo in pochissime persone: ancora una volta, sulla giustizia e il senso di umanità, ha prevalso il giustizialismo.

Ha avuto, Suo malgrado, l’occasione di vivere in uno dei luoghi sospesi, il carcere, di cui nessuno si occupa: cosa Le è rimasto di questa esperienza?

Provare il carcere per me ha significato avere la conferma concreta di quanto già immaginavo teoricamente. Il carcere è luogo di esclusione e di controllo sociale che il sistema esercita su chi è povero e chi si ribella. Le mie compagne di detenzione portavano con sé storie di miseria, di soprusi e di violenze subite lungo le vie dell’emigrazione, o tra le pareti domestiche, o negli inferni della prostituzione e della tossicodipendenza. Proprio in queste donne ho trovato la generosità semplice e concreta che spinge chi non ha niente a dividere quel niente con chi ha ancor meno, a tendere la mano a chi sta per lasciarsi andare. Se qualcosa di umano sopravvive in quei luoghi è proprio la solidarietà tra carcerati e la chiarezza che non c’è mediazione possibile tra reclusori e reclusi e che i tribunali non esercitano la giustizia, ma la vendetta. Pure i cosiddetti “progetti di recupero” costituiscono, nei casi migliori, poco più che una foglia di fico e, nei casi peggiori, sono aperto sfruttamento di lavoro sottopagato. Da questa esperienza ho portato con me l’affetto per le mie compagne, che mi sono diventate figlie e sorelle e con le quali continuo a tenermi in contatto; ho ben chiara la consapevolezza che abolire il carcere è non solo possibile, ma indispensabile e lo strumento non può che essere il conflitto per un mondo ed una società più giusti e vivibili per tutti: lotta non solo per i diritti civili, ma per i diritti sociali e ambientali.

Il movimento No Tav Le ha dimostrato il suo affetto nella manifestazione oceanica dell’11 gennaio scorso, ci racconti che effetto Le ha fatto tanta partecipazione alle Sue vicende?

La certezza dell’affetto che mi dona la mia grande famiglia di lotta mi ha aiutata ad affrontare con gioia e determinazione questa non facile esperienza: non solo la grande manifestazione dell’ 11 gennaio, ma le decine di lettere che mi arrivavano ogni giorno, la visita quotidiana degli avvocati , il sostegno che mi è giunto da tante realtà di lotte sociali da ogni parte del paese, anzi del mondo, è stato per me un segno prezioso che nulla può veramente il potere contro quella bomba ad orologeria che è il cuore. Le lotte vere durano anche per quell’affetto che va oltre la solidarietà di maniera e, soprattutto nei momenti cruciali, diventa antidoto contro la paura e l’interiorizzazione della sconfitta.

Uno dei motti più cari al Movimento NO TAV è che, sempre, “si parte e si torna insieme”, e lo dimostra la solidarietà concreta della cassa di resistenza per le spese legali o a favore di chi è detenuto e dei tanti che hanno perso il lavoro per rappresaglia. E lo testimoniano le numerosissime manifestazioni davanti ai tribunali e alle carceri, a sostegno dei resistenti NO TAV, ma anche delle altre innumerevoli resistenze che fanno vivo e bello il Paese.

L’eco di quella memorabile giornata ha infranto mura e sbarre, come un vento di liberazione. Le mie compagne di detenzione hanno condiviso con me la gioia delle immagini brevemente trasmesse in TV e dei saluti rivolti a tutte.

L’emergenza COVID-19 ha reso evidente l’importanza della sanità e dell’istruzione pubblica e del loro adeguato finanziamento. Come pensa che l’esperienza della lotta No Tav possa essere utile anche per le lotte che si stanno definendo per la sanità e l’istruzione pubblica?

La pandemia ha dimostrato quello che, da più parti, Cassandre inascoltate vaticinavano da sempre: che la natura si ribella contro chi mette in pericolo la sua sopravvivenza e che il Progresso della globalizzazione e della “crescita infinita” è una corsa verso l’abisso.

Il movimento NO TAV è nato su questa consapevolezza, applicandola concretamente nella difesa dei luoghi della propria vita e delle risorse comuni. E stata anche, da subito, lotta contro le privatizzazioni. Non si deve dimenticare che i progetti TAV sono stati, fin dalla loro nascita, l’altra faccia della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato, della loro trasformazione in SpA, con conseguenze devastanti non solo sul piano ambientale, ma economico e sociale. Lo smantellamento dei poli e delle officine ferroviarie, il taglio o l’abbandono delle reti a piccola e media distanza fondamentali per mettere in comunicazione i territori, la rottamazione del trasporto intercity e del Pendolino che collegava egregiamente i centri lontani hanno comportato devastazioni ambientali, disastri ferroviari per mancata manutenzione o per scontri di treni su linee a binario unico, soppressione di corse pendolari, taglio dei posti di lavoro.

La stessa cosa si può dire per la scuola e per la sanità: quando vincono gli interessi privati, non c’è più posto per il diritto alla salute, ad una scuola che sia pubblica, democratica e formativa, ad un lavoro che non distrugga e uccida. Non è un caso che, anche in Valle di Susa, mentre si sono aperte le cantierizzazioni del TAV, si siano chiusi gli Ospedali di Avigliana e di Giaveno e ampiamente ridimensionato l’ospedale di Susa, con la soppressione dei reparti di ostetricia e ginecologia, dell’ambulatorio pediatrico e la contrazione degli altri reparti, non ultimo il pronto soccorso.
Nei suoi trent’anni di vita la lotta NO TAV è stata sempre anche lotta per la difesa dei servizi pubblici e contro le mafie incistate nel cuore dello stato, che continuano a chiamare pace e benessere la desertificazione sociale, culturale, ambientale.

E stata sempre una lotta senza deleghe, frutto di una democrazia reale contro la falsa “democrazia” dei poteri forti e delle lobby che fanno quotidianamente carta straccia della Costituzione nata dall’antifascismo e dalla Resistenza.

Come vede il futuro del movimento No Tav a breve e medio termine?

Il movimento NO TAV, come ha dimostrato anche in queste settimane, è vivo e vegeto, alla faccia dei lobbisti e dei mass media di regime che intessevano elegie sul declino inarrestabile delle lotte e, prima tra tutte, della lotta NO TAV.

Questi trent’anni di repressione, invece di fiaccare la resistenza degli oppressi, ha svelato appieno l’arbitrio degli oppressori, l’inconsistenza delle motivazioni per la grande mala opera, la sua inutilità e pericolosità. La militarizzazione del territorio, le sentenze dei tribunali, gli arbitrii polizieschi, non meno della devastazione ambientale, dei rischi per la salute connessi alle tonnellate di amianto e uranio portate alla luce e abbandonate a cielo aperto dai sondaggi geognostici, hanno sconfitto indifferenza ed interiorizzazione della sconfitta, chiamando alla difesa collettiva tante storie diverse tra di loro, ma unificate dalla consapevolezza che la vita e la salute non sono mediabili né vendibili. Siamo tanti, di tutte le età con una grandissima presenza delle donne e dei giovanissimi, il che ci fa dire che, quando il seme è fuono, fruttifica.

Quali sono i Suoi programmi per il prossimo futuro?

Ora le parole sono per me quello che fino a qualche mese fa erano gli scarponi per affrontare i sentieri della Clarea, le tronchesi per tagliare reti e concertine messe a protezione del cantiere e sparse per i boschi: sono le pietre della mia intifada.

Non mi sento sola, perché l’affetto delle mie sorelle e dei miei fratelli di lotta mi arriva anche tra le mura domiciliari. E sono pronta a tornare concretamente insieme a tutte e tutti quando il momento e gli eventi lo richiederanno.

Nicoletta Dosio è una professoressa di greco e latino in pensione dal 2006, ha insegnato in diversi licei tra cui il liceo scientifico «Norberto Rosa» di Bussoleno che ha contribuito a fondare negli anni Ottanta. Partecipa nel movimento no TAV dalla fine degli anni ’80 ed è membro del Coordinamento nazionale di Potere al Popolo. Internazionalista ed antimilitarista si è sempre spesa nelle lotte ambientali.

 

4 chiacchiere con Emilio, l’ultimo dei “banditi” della valle

17 Luglio 2020


Pubblichiamo l’articolo apparso oggi sulla Valsusa a firma di Giorgio Brezzo, che intervista Emili0, agli arresti domiciliari presso la propria abitazione a Bussoleno:

BUSSOLENO – Confinato in casa, in strada Monginevro 40, agli arresti domiciliari, Emilio Scalzo può comunque ricevere visite. E così eccolo intento ad affidare i suoi numerosi cani alla moglie Marinella in modo da consentire l’ingresso ad un terrorizzato cronista. Scalzo, 65 anni, uno dei volti più noti del movimento No Tav, conosciutissimo in paese per la sua ultradecennale attività di pescivendolo, ha subito un aggravamento delle misure cautelari cui era sottoposto: avrebbe violato più volte il divieto di dimora nei comuni di Chiomonte e Giaglione, un provvedimento che era stato disposto dal gip dopo le proteste del 27 luglio 2019, quando sarebbe stato individuato mentre tirava sassi in direzione delle forze di polizia nell’area antistante il cantiere della Maddalena.

Adesso, però, in occasione dei lavori di allargamento dello stesso cantiere, tra giugno e luglio, Scalzo sarebbe stato visto più volte prendere parte alle azioni di protesta messe in atto dai militanti No Tav. Lui precisa subito: “Sono stato ritenuto colpevole in base ad una legge fascista che è stata mantenuta, il codice Rocco, e pertanto mi è stato precluso l’accesso al territorio di dieci comuni”.

Quali sono i reati di cui lei si è macchiato?

“Ho abbattuto un jersey, cioè un cancello di sbarramento all’interno di un bosco…Ma io parlerei piuttosto di un’operazione di ripristino della legalità, in quanto collocare un cancello di ferro in un bosco non è certo giusto. Così mi hanno identificato e mi hanno negato l’accesso ai comuni di Susa, Giaglione, Gravere, Chiomonte ed Exilles, cioè tutti quelli attorno al cantiere”.

Ma lei ha parlato di dieci comuni: “Certo, perché poi c’è la questione legata ai migranti. Allora, visto il fenomeno del passaggio dei migranti attraverso la montagna, in pieno inverno, come movimento No tav ci siamo chiesto come potevamo porci rispetto a questa emergenza. Questa gente rischiava la morte per assideramento. Così ci siamo mobilitati, anche occupando il sottochiesa di Claviere e la vecchia casa cantoniera di Oulx, stabili che si erano ritenuti adatti ad accogliere queste persone. Io mi sono attivato per portare soccorso a questa gente ed ho partecipato a queste azioni. Risultato, non posso più accedere ai territori comunali di Salbertrand, Oulx, Cesana, Bardonecchia e Claviere. A questo punto, però, mi dovrebbero spiegare una cosa: se l’omissione di soccorso è un reato, come mai se io soccorro commetto un reato?”.

E adesso lei che farà?

“Faccio presente che nessuno si potrà appropriare della mia libertà. Dicono che io rappresenti un pericolo sociale. Perché? Questa è la mia vita, io ritengo semplicemente che sia un dovere morale ribellarsi alle ingiustizie; lo avevo già fatto molti anni fa, alla stazione di Milano, intervenendo in aiuto di alcuni senzatetto che erano stati malmenati dalla polizia ferroviaria. Quella volta mandai due agenti all’ospedale. Volevano condannarmi, poi un testimone raccontò la verità e fui assolto con formula piena. Mi piace definirmi un incidente. Sono l’incidente sulla strada dei prepotenti. Adesso qui c’è gente che cerca di illuderci, gettandoci del fumo negli occhi, parlando di una fantomatica economia che non verrà mai, mentre noi parliamo di tutela della salute…Ecco quello che farò: disattenderò certamente gli arresti domiciliari, andando incontro a tutte le conseguenze che questo comporterà, prigione compresa. È un mio progetto, che metterò in atto senza remore, perché non intendo piegarmi. In questo momento, amici e compagni del movimento mi hanno chiesto di aspettare, perché magari si organizzerà un’azione collettiva, un’evasione clamorosa…comunque io sono già pronto. Un mio parente, abbastanza stretto, che ha avuto nella sua vita tanti problemi con la giustizia, mi ha detto che uno come me non può proprio andare in carcere. Io gli ho soltanto risposto che come lui è stato un grande tra i delinquenti, io sono un gigante tra gli onesti”.

Perché tanto acredine contro le forze di polizia?

“Siamo rabbiosi con le forze dell’ordine perché abbiamo colto una grande discrepanza. Attaccano il nostro movimento con un dispendio di uomini, una forza ed un accanimento che non vediamo applicato, per esempio, nel contrasto contro la malavita organizzata, contro mafia, sacra corona unita e ‘ndrangheta”. Che ne pensa dell’accusa rivolta al movimento di avere sparso chiodi sull’autostrada nei pressi del cantiere? “Se i chiodi li avesse messi qualcuno del movimento, lo saprei. È un gioco facile, la solita storia, il fatto di accollare a noi queste cose”.

Ma lei, queste famose pietre, le ha tirate?

“Noi operiamo il sabotaggio verso i mezzi. Mi imputano cinque lanci di pietre. Ma noi non abbiamo mai cercato di colpire gli uomini, puntavamo alle manichette degli idranti con i quali veniamo inondati ogni volta da un’acqua che, secondo me, andrebbe analizzata, a giudicare da quanto è sporca”. Lei afferma di voler disobbedire. Può andare incontro a pene piuttosto pesanti: “Per alcune azioni e gesti davvero marginali, alcuni militanti No Tav, me compreso, hanno subito provvedimenti superiori e più gravi di quelli che sono stati adottati nei confronti di spietati assassini e di corrotti e corruttori per milioni e milioni di euro. Sono pronto ad assumermi ogni responsabilità riguardo le mie azioni. Ho fatto la mia scelta di vita e di lotta e la pagherò, fino in fondo”.

Sulla cancellata di casa sua, Scalzo ha posto la targa “Achtung banditen”, quella che usavano i nazisti per avvertire della presenza dei partigiani. Ma pensando a Emilio, a noi viene in mente una famosa frase di Bob Dylan che gli calza a pennello perché riassume la sua vita: “Per vivere fuori dalla legge occorre essere onesti”.

Giorgio Brezzo

 
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