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La Corte Costituzionale ha smontato un pezzo importante del Jobs Act

27.09.2018 18:53

La Corte Costituzionale ha smontato un pezzo importante del Jobs Act

La Corte ha dichiarato illegittimo il meccanismo automatico con cui venivano calcolati gli indennizzi per i licenziamenti ingiustificati

a Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il sistema di calcolo dell’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato introdotto dal Jobs Act. Il sistema prevedeva che l’indennizzo al lavoratore ingiustamente licenziato venisse calcolato sulla base dell’anzianità: due mensilità di indennizzo per ogni anno trascorso al lavoro. Le ultime modifiche introdotte dal governo Conte hanno stabilito che questo indennizzo debba essere pari a un minimo di sei mensilità e possa arrivare a un massimo di 36.

Secondo la Corte, però, «la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore» è «contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione». Per il momento la Corte ha pubblicato soltanto una breve nota, mentre la sentenza completa sarà depositata nelle prossime settimane.

 

Le conseguenze della decisione non sono ancora chiare, ma saranno con ogni probabilità molto ampie: la principale sarà che i giudici potranno decidere con maggiore autonomia l’ammontare dell’indennizzo che i datori di lavoro dovranno pagare ai loro dipendenti licenziati in maniera ingiustificata. Le conseguenze si rifletteranno sia su chi ha cause di licenziamento in corso, che – soprattutto – sulle decisioni future di assumere o licenziare da parte dei datori di lavoro.

«È certamente necessario attendere sentenza e motivazioni», ha detto al Post Lea Rossi, avvocato del lavoro dello studio Toffoletto De Luca Tamajo e Soci: «Avrà ovviamente un impatto molto significativo sul mercato, reintroducendo in misura tutta da verificare la discrezionalità del giudice e di conseguenza incertezza nella previsione dei rischi legati alla legittimità del licenziamento». Se questa interpretazione sarà confermata i datori di lavoro, quindi, non potranno più prevedere con esattezza il costo del licenziamento di un loro dipendente sulla base della sua anzianità.

A una persona assunta da poco tempo, quindi, potrebbe spettare un indennizzo molto alto se il giudice ritenesse il licenziamento particolarmente ingiustificato, mentre un dipendente di lungo corso potrebbe ricevere un indennizzo più basso rispetto a quanto riceverebbe oggi nel caso in cui il licenziamento dovesse risultare almeno in parte giustificato.

Per conoscere i dettagli della decisione e comprenderne meglio le conseguenze bisognerà attendere la pubblicazione della sentenza, oppure ulteriori precisazioni della Corte. È possibile per esempio che la sentenza contenga un invito al Parlamento affinché adatti l’attuale normativa alla sentenza.

 

 

Jobs act, la Consulta boccia il criterio per determinare le indennità di licenziamento

Secondo la Corte, "la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio" è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza. Neppure le modifiche del Decreto Dignità ovviano il problema. Di Maio: "Inizia smantellamento della riforma"

REPUBBLICA. Bocciatura alla Consulta per la parte del Jobs act che riguarda il calcolo delle indennità che spettano ai lavoratori licenziati in maniera illegittima, non migliorata neppure dal recente Decreto Dignità.

La Corte costituzionale ha deciso di dichiarare "illegittimo l'articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n.23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato".

Nel Jobs act del marzo 2015 si stabiliva come calcolare le indennità in caso di licenziamento illegittimo. Recitava il testo: "Il giudice (...) condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità". In pratica, per il lavoratore licenziato in maniera ingiusta il Jobs act ha previsto un risarcimento di due mesi di stipendio per ogni anno di anzianità di servizio. Il tutto, entro un limite minimo (quattro mesi di stipendio) e massimo (ventiquattro mesi). Ad esempio, se il giudice avesse riconosciuto come illegittimo un licenziamento di un assunto a tutele crescenti con tre anni di servizio, gli sarebbero andati sei mesi di stipendio.

Il recente Decreto dignità ha ritoccato il quantum minimo e massimo degli indennizzi (alzandoli nella nuova forchetta da 6 a 36 mesi), ma non il meccanismo di determinazione che è rimasto legato all'anzianità di servizio. Motivo per cui il problema originario rilevato dalla Corte non è stato risolto. Per la Consulta, si spiega, "la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Corte, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione". Lo stesso Luigi Di Maio, artefice del decreto, ha commentato la decisione della Corte, spiegando che con la sua decisione la Consulta ha iniziato "a smantellare il Jobs Act".

Censurato il meccanismo legato all'anzianità, la prospettiva - in attesa di capire i dettagli della decisione - sembra esser quella di tornare ai precedenti criteri di calcolo di indennizzo stabiliti dalle norme Fornero, che affidavano ai giudici la valutazione caso per caso (tenendo conto di durata del rapporto, ma anche grandezza della società e comportamenti delle parti) nell'ambito della stessa forchetta minima e massima. In attesa dei correttivi che si vorranno portare per via di legge, il dispositivo suona come una bocciatura di quella parte di norme che voleva dare "certezza" ai datori di lavoro sulla sanzione alla quale sarebbero andati incontro, criticata aspramente dai detrattori dl testo.

Tutte le altre questioni relative ai licenziamenti sono state dichiarate invece "inammissibili o infondate" e la sentenza "sarà depositata nelle prossime settimane".

La questione presso la Corte costituzionale era stata sollevata dal Tribunale del Lavoro di Roma, non tanto per l'eliminazione della reintegra del lavoratore tra le tutele previste dal vecchio 'articolo 18', ma proprio per le problematiche legate al meccanismo di indennizzo. In particolare, secondo il Tribunale, il contrasto con la Costituzione non veniva ravvisato nell'eliminazione della "reintegra" - salvi i casi in cui questa è stata prevista - in favore della monetizzazione del risarcimento, "quanto in ragione della disciplina concreta dell'indennità risarcitoria, destinata a sostituire il risarcimento in forma specifica, e della sua quantificazione".
 
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