detenuti in carcere
24.03.2020 11:55Un gruppo di detenuti del carcere di Santa Maria Maggiore di Venezia ha inscenato una protesta martedì in tarda mattinata. La polizia sta cercando di contenere i danni.
I detenuti di un padiglione, come molti altri in diverse strutture d'Italia, durante la rivolta hanno provocato dei danni nell'edificio, svuotando estintori e danneggiando altri oggetti. Avrebbero anche appiccato il fuoco. Al momento, nessuno risulta evaso.
Rivolta al Pagliarelli, detenuti rubano chiavi a una guardia e occupano intero piano del carcere
Per sedare l'assedio sono dovute intervenire oltre 200 unità della polizia penitenziaria. Il direttore a PalermoToday: "Situazione sotto controllo. Temono il contagio e soffrono per la sospensione dei colloqui con i familiari" Sono riusciti a bloccare una guardia e a rubargli un mazzo di chiavi, poi hanno occupato un intero piano del carcere per dare vita a un nuovo giorno di protesta. Caos al Pagliarelli dove questa mattina il direttore Francesca Vazzana e circa 200 agenti di polizia penitenziaria hanno dovuto fronteggiare la protesta di un gruppo di detenuti. L'ennesimo episodio di "insubordinazione" dopo quanto accaduto già ieri all’Ucciardone e la sera prima all’interno dello stesso Pagliarelli.
Coronavirus, carceri in rivolta: 11 vittime, altri 3 detenuti morti a Rieti. Nuove proteste nei penitenziari
“Svuotare le carceri, subito !” Gli appelli
Quello che sta accadendo nelle ultime ore in molti istituti di detenzione italiani (Modena, Reggio Emilia, Bologna, Roma, Napoli, Palermo, Padova, Firenze, ma l’elenco si allunga di ora in ora e pare siano ormai già 27 gli istituti di pena coinvolti dalla protesta dei detenuti, con un numero non esattamente accertato —anche nelle cause— di morti —almeno sei— e feriti, di cui alcuni molto gravi) era ampiamente prevedibile: in un paese dove nelle carceri i detenuti sono più di 61.000, con una capienza di 50.000 posti, in cui da decenni non si vede un provvedimento di indulto o amnistia (termine divenuto quasi eretico), in cui la penalizzazione di ogni devianza e di ogni protesta è diventata norma, in cui qualcuno parla di “buttar via la chiave” e qualcun altro abolisce prescrizione e garanzie, l’effetto dell’emergenza sanitaria non poteva essere diverso.
In luoghi dove la convivenza è forzata e diventa promiscuità, in cui la salute non è garantita neppure in via ordinaria, in cui decine di persone coabitano luoghi angusti, il terrore del contagio si moltiplica, e le forme di “sicurezza” si trasformano in ulteriore isolamento. Il blocco delle visite parentali, sostituite con colloqui telefonici per cui bisogna affrontare attese in promiscuità, unite all’assenza di quei pochi servizi (assicurati in buona parte dal volontariato ora estromesso) non possono che generare disperazione. Disperazione che può sfociare in violenza contro soggetti incolpevoli.
C’è una sola via di uscita, tanto più in momenti come questi: ridurre quanto più possibile il pericolo del contagio, ma anche della violenza della disperazione. Ciò impone scelte importanti, praticabili subito, svuotando le carceri (e gli altri luoghi di contenzione, CPR inclusi) delle persone detenute anziane e malate, con l’immediata concessione di detenzione domiciliare, libertà vigilata e/o sospensione pena, oltre che di coloro che hanno pene brevi da scontare; garantire la fruizione effettiva delle possibilità di interlocuzione con l’esterno, garantire informazione e presidi sanitari.
È urgente, indispensabile, umano e rispettoso del diritto e dei diritti individuali. Per poi ricominciare a parlare di amnistia, indulto e misure che rimettano al centro della discussione l’insostenibilità di questo modo di “fare giustizia” e “applicare pene” cavalcato da una politica incapace ed arrogante.
9 marzo 2020
ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI, LEGAL TEAM ITALIA, ASSOCIAZIONE BIANCA GUIDETTI SERRA
Appello dell'Unione Camere Penali al governo e alle forze politiche e parlamentari
Emergenza coronavirus nelle carceri, occorrono intelligenza, coraggio e determinazione.
L’appello dell’Unione al governo ed a tutte le forze politiche e parlamentari. Immediato rafforzamento dei Tribunali di Sorveglianza, con distacco dei magistrati che in questo periodo non terranno udienze, per la concessione di detenzioni domiciliari e misure alternative. Indicazione agli uffici GIP per il ricorso rafforzato agli arresti domiciliari in sede di disposizione delle misure cautelari. Indulto per le pene in esecuzione inferiori a due anni. Avviare in Parlamento un serrato confronto sulla ipotesi di amnistia per decongestionare il carico degli uffici giudiziari in questo momento di emergenza.
Carceri: le istituzioni devono vergognarsi
Per “spiegare” la strage di Modena torniamo alla favola del lupo e ell’agnello?
Terribili notizie provengono da carcere di Modena e da decine di atre carceri italiane; notizie che parlano di 6 morti solo a Modena e di incriminazioni per resistenza e violenza privata;
che la situazione nelle carceri fosse al limite della esplosione era evidente a tutti tranne che ai decisi politici e a “Palazzo”; dal 2003 commentiamo ogni sei mesi il rapporto semestrale Ausl sulle carceri di Bologna e proponiamo questo metodo di lavoro in tutta Italia; abbiamo fatto denunce – alle Procura, ai NAS, ad altre istituzioni denunciando le condizioni di degrado, di rischio di abuso di mezzi di correzione; il secondo rapporto semestrale del 2019, richiesto alla Ausl di Bologna fin dall’inizio dell’anno non ci è ancora stato inviato;
ma la situazione di Bologna non è dissimile da quella di Modena o di tante altre carceri; la legge di riforma penitenziaria del 1975 mutuò una prassi che era in essere già nell’ottocento; il medico condotto, poi divenuto ufficiale sanitario, aveva il compito di vigilare le condizioni di rischio biologico/infettivo nelle carceri; l’interesse non era per la salute dei carcerati ma riguardava la consapevolezza che una comunità chiusa poteva essere il terreno favorevole all’attecchimento di malattie poi diffusibili alla comunità esterna dei “sani”;
purtroppo la impostazione – malcelata – dei rapporti semestrali si è attestata su questa lunghezza d’onda ; ogni sei mesi commentando il rapporto Ausl abbiamo richiamato alla necessità di cambiare registro;
ma al peggio non c’è limite: ormai le istituzioni hanno fallito anche nel tentativo di “controllare” il rischio biologico/infettivo ;
peggiorando le condizioni di deprivazione affettiva e socio-sensoriale delle persone detenute si è aggravata la loro condizione di distress e di costrittività quasi a “volere” provocare una reazione e una rivolta ;
tutti gli studi di prossemica , di psicologia sociale e di psiconidinamica, dimtrano e confermano (orami da tanti decenni) che il sovraffollamento, il rumore, la carenza di sonno, i soprusi continui esasperano il rischio di induzione di compoeamenti aggressivi;
DIRE CHE QUELLO CHE E’ SUCCESSO A MODENA, SALERNO, ECC. FOSSE PREVEDIBILE E’ PERSINO BANALE E SCONTATO?
Si risponderà anche a questi eventi in termini “repressivi”?
la medicina psicosomatica e la semplice intelligenza umana insegnano che la serenità d’animo non è un antidoto totale contro i virus ma una componente importante delle difese psichiche e immunitarie;
proponiamo di costituire un comitato per la verità e la giustizia per i fatti di Modena e delle carceri italiane;
che non succeda ancora di confondere l’azione del lupo con la reazione dell’agnello;
ben evidente che tutti auspichiamo reazioni e condotte non violente da parte delle persone detenute ma sarebbe ipocrita e infame vedere quel che è successo stando in poltrona con mascherina FFP3 e mani a bagno nella amuchina;
abbiamo denunciato recentissimamente come nella ultima campagna elettorale in E-R il tema “carcere” sia stato rimosso da tutti , compreso i “coraggiosi” e i finti progressisti;
in Emilia e in Italia questa luttuosa pagina di Modena non potrà mai essere dimenticata , come quella dei morti operai del dopoguerra uccisi negli scontri con le “forze dell’ordine”.
Verità e giustizia per le persone private della libertà e della dignità.
Vito Totire, psichiatra, portavoce del coordinamento circolo “Chico” Mendes-Centro “Francesco Lorusso” via Polese 30 40122 Bologna
Liberarsi dal virus del carcere (una proposta di buonsenso su carcere e covid19)
Visto il rapido evolversi della situazione legata alla diffusione del nuovo corona virus, divenuta emergenziale, desidero comunicare il mio punto di vista nella condizione particolare di detenuto semilibero presso il carcere di Torino.
L’ambiente carcerario risulta essere, a maggior ragione in casi come questi, un luogo delicato, sensibile ma piuttosto ignorato dall’opinione pubblica e dalla classe politica; oppure considerato inopinatamente una sorta di discarica per ciò che si ritiene “la feccia” della società.
In questi giorni di grande flusso mediatico e misure di controllo imponenti, l’ansia e l’angoscia per il dilagare dell’infezione stanno crescendo anche tra le mura del carcere, tra i detenuti e il personale ivi impiegato. Scenari di blocco dei colloqui con i familiari, sospensione di permessi e uscite per i semiliberi sono già divenuti realtà in alcuni penitenziari del territorio nazionale e stanno divenendo probabili per gli altri visto il precipitare degli eventi giorno dopo giorno.
Appare chiaro che allo stato attuale, con una popolazione carceraria abbondantemente superiore alla capienza prevista (siamo più di 60.000 in carcere in circa 50mila posti disponibili), non ci sarebbe la possibilità di affrontare con misure di sicurezza adeguate l’eventualità non remota di un contagio tra i detenuti. Non oso pensare con quali conseguenze si ripercuoterebbe su individui già deboli e fragili, nonché ristretti, la diffusione di questa nuova infezione.
Di fronte alla impreparazione e approssimazione delle autorità statali nell’affrontare questa cosiddetta emergenza sanitaria, non pare sensato concentrare ulteriormente i carcerati bloccando anche le uscite di chi gode di benefici o di regimi di custodia attenuata. Inoltre, così facendo si infierisce ulteriormente su persone e sulle loro famiglie che già vivono da anni una condizione di privazione, sacrificio e umiliazione.
I semiliberi, che non potendo più uscire per settimane o mesi, perderebbero sicuramente il lavoro, con tutta la difficoltà di poterlo poi ritrovare di questi tempi una volta passata la psicosi. Aggiungiamo pure i problemi di chi, come me, ha una famiglia con figli che (non) vanno a scuola.
Partendo da questa premessa mi ritrovo ad argomentare una proposta che, per assurdo, gioverebbe per primo a chi i carceri li gestisce, li controlla e ne detiene la responsabilità.
Un provvedimento urgente, e di assoluto buon senso, sarebbe quello di liberare chi già gode di benefici, chi è sopra una soglia di età definita “a rischio”, chi ha un residuo di pena sotto i due anni. Non sta a me proporre quali misure alternative si potrebbero applicare (tipo obblighi di firma, rientri domiciliari ecc…) e nemmeno la forma legislativa adeguata (amnistia, indulto, decreto legge). Ai detenuti esclusi da tale provvedimento si potrebbero applicare più facilmente misure di prevenzione e sicurezza adeguate per poter garantire i colloqui con i propri cari e condizioni di detenzione meno disagiate di quelle odierne a causa del sovraffollamento cronico degli ultimi anni.
Credo che nel marasma mediatico di questi giorni debba farsi strada una simile opzione. Io per primo mi impegnerò da subito ad alimentare l’urgenza di un dibattito che, oltre a riguardare una categoria umana di oppressi e indifesi, rientra nell’etica della solidarietà e “del benessere di comunità”, concetti molto sbandierati in questi giorni.
Non sarebbe un provvedimento di clemenza, semplicemente di umanità e buon senso e non dovrebbe precludere né limitare un dibattito necessario sul senso del carcere nella società di oggi, sulle condizioni detentive, sulla repressione del fenomeno migratorio e delle lotte sociali.
Perfino in un paese come l’Iran, che non si può certo dire sia gestito da un regime democratico, si è appreso da alcune fonti di stampa che sono stati scarcerati e messi ai domiciliari più di 50 mila detenuti con pene inferiori ai 5 anni.
In generale, stante la situazione in cui un’epidemia rischia di provocare il collasso dell’insieme del sistema sanitario pubblico, è quanto mai opportuno che al più presto vengano riconsiderati gli investimenti pubblici in spese militari e grandi opere inutili e costose (come il TAV) per liberare risorse da impiegare nella salute pubblica, sia preventiva, che curativa.
Che il sistema sanitario diventi un bene comune ed esca dalla logica di tipo aziendale nella quale è stato inserito!
Che la voglia di libertà diventi il virus più contagioso per l’umanità.
Luca Abbà, Semilibero NO TAV domenica 8 marzo 2020
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