come in cielo cosi' in terra
24.03.2020 11:52COME IN CIELO COSÌ IN TERRA
Saranno 1.450 le lettere di licenziamento che a breve la compagnia aerea AirItaly spedirà ai suoi dipendenti. Il piano di rilancio proposto e approvato nel dicembre 2018 non ha sortito nessun effetto positivo. La compagnia dell’Aga Khan è prossima al fallimento. La “protetta” di Qatar Airways sarà ormai irrimediabilmente liquidata nel giro di poche settimane. Splendori e miserie del capitalismo nostrano e transnazionale. Una vicenda che si attorciglia su se stessa dopo diversi tentativi di recupero. Alisarda prima e Meridiana poi, hanno cercato di colmare la distanza dal continente conquistando un minuscolo spazio nella spietata concorrenza che si scatena tra le nuvole.
Uno spazio infinitesimale che implica la sorte di quasi millecinquecento persone. Mica numeri, come quelli che si contendono grandi piccole e medie compagnie aeree per riempire (giustamente) le proprie aeronavi. Numeri come clienti, passeggeri come numeri. Qui però si tratta di lavoratori e lavoratrici che non volano per nulla; sono lasciati a terra dalle spericolate e irresponsabili manovre economico-finanziarie che non prendono affatto in considerazione l’aspetto umano. Esistenze e competenze al servizio del profitto, almeno fino a quando questo le ritenga indispensabili.
Nulla di inedito, dunque, nel tradizionale vademecum neoliberista, se non che questa inarrestabile deriva è diventato una consuetudine. O per meglio dire, lo è diventata per tutti i governi che si sono succeduti da troppi anni a questa parte. Per lo meno da quando anche quella parte della società che storicamente rivendicava diritti e migliori condizioni di lavoro (e di vita) ha abdicato a questo ruolo per abbracciare la causa produttivistica. Lo j’accuse è rivolto a partiti e organizzazioni di sinistra che hanno scelto riformismo e concertazione in luogo della lotta di classe. Un prezzo altissimo, au contraire, che stiamo pagando anche per la incapacità di ricompattamento e omogeneità di tutta quell’altra area che invece non ha ceduto alle sirene della socialdemocrazia. Litigiosa e spesso settaria, questa sinistra alternativa antagonista e altermondialista non è stata in grado di mantenere al centro dell’agenda tematiche basilari come il lavoro. Pertanto, se è legittimo l’atto di accusa, lo è altrettanto l’autocritica. In tutti i modi, l’offensiva del capitale non ha perso tempo dietro a cervellotiche elucubrazioni. Niente di nuovo neanche su questo versante. Il grande periodo di depressione economica, iniziato nel 2007 e di cui ancora ne scontiamo le conseguenze, ha ingigantito le fasce di povertà, ampliandole anche a quel mitico ceto medio che si voleva ormai al riparo da qualsiasi possibile pericolo recessivo, concentrando la ricchezza in poche mani. È ciò che in sintesi rivendicava, nel pieno della crisi, il movimento Occupy Wall Street, nel cuore della finanza internazionale, denunciando la spaventosa diseguaglianza originata dal capitalismo 2.0. Ora siamo giunti a una sua versione modificata e aggiornata, lasciando inalterato il rapporto 99% – 1%. La crescente e irresistibile progressione della digitalizzazione a ogni livello produttivo, e sociale ça va sans dire, ha accentuato se possibile questa sperequazione, e continua a lasciare sul selciato vittime sacrificali della crescita all’infinito. Che contiene al suo interno un vero e proprio culto, insospettabilmente celebrato anche da chi dovrebbe avversarlo con tutte le forze. In luogo delle forze, ha preso forza il forse: forse il capitalismo non è poi così cattivo; forse anche i ricchi piangono; forse un po’ di sacrificio non fa male. E via di questo passo fino a concedere praterie sconfinate alla precarietà, allo sfruttamento e alla progressiva sistematica cancellazione dei diritti. D’altronde, tutte le ultime ristrutturazioni del mondo del lavoro hanno sancito con chirurgica precisione tale tendenza, antica quanto la schiavitù. Il Jobs Act, rappresentazione plastica di questo lugubre scenario, è stato concepito e ratificato da un governo di centrosinistra.
La modernizzazione del lavoro, e con esso un ingannevole orizzonte di benessere non più irraggiungibile, alla base di quella riforma, ha presto mostrato i suoi colpevoli limiti, correndo in aiuto delle imprese e maltrattando la classe lavoratrice. La classe lavoratrice: avrà ancora questa un significato nel dibattito contaminato dalla retorica sovranista e sciaguratamente revisionista di questi strampalati tempi?
Non è certo facile dare risposte, ma alcuni eventi suggeriscono qualche lettura utile e necessaria per trovarne. La vicenda AirItaly è solo l’ultima di una serie criminogena di chiusure e dismissioni. Whirlpool, Ferrero, grandi catene della Grande Distribuzione Organizzata, per non parlare della FIAT e della Ex-Ilva. Quindi, così in cielo come in terra. Ne dimentichiamo tante altre che magari, per numeri ahinoi, non hanno avuto la ribalta della cronaca. Migliaia di profili professionali ai quali non viene riservata alcuna cittadinanza se non quella nel sempre più popolato paese degli esclusi. Nella rigida terminologia della catena produttiva, non si parla di esseri umani, ma di esuberi. Che ravvivano le quotazioni in Borsa e rimpolpano l’economia della disperazione. Legata a doppio nodo alle nauseanti politiche anti-migratorie. Opportunismo elettorale e approssimazione culturale facilitano il compito al potere di quell’1% che vive nella più completa agiatezza sulle spalle del restante 99%. America first, prima il profitto, prima gli italiani, prima la guerra e prima qualsiasi eresia a costo di mantenere ben salda la subalternità della giustizia sociale. Mentre la miseria e il saccheggio di risorse umane e naturali avanzano indisturbati all’ombra di quel moribondo feticcio che è la democrazia. Ci sono poi altri esuberi che aumentano la sanguinosa scia lasciata dalla insaziabilità del capitalismo: le morti sul lavoro. Le morti per il lavoro. Spesso sbattute in prima pagina per dimenticarsene in fretta il giorno dopo, non appena sopraggiunga un’altra insopportabile tragedia annunciata. E questa, non è un’altra storia.
C’è poco però da preoccuparsi. Nel frattempo, è stata abolita la povertà.
M.A.
fonte:
https://animainpenna.wordpress.com/2020/02/17/come-in-cielo-cosi-in-terra/
fonte: Massimo Angelilli membro esecutivo nazionale confederazione Cobas.
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