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Aiuti, investimenti e basi militari: come la Turchia si è presa il Corno d’Africa

14.05.2020 19:57

Aiuti, investimenti e basi militari: come la Turchia si è presa il Corno d’Africa

Il soft power di Ankara e la diplomazia della solidarietà islamica stanno dando i loro frutti. In Somalia le compagnie turche gestiscono porti e aeroporti. In Sudan si punta ad un interscambio miliardario. E l’Etiopia diventa l’investimento turco più grande in Africa

 

 

Petrolio, aiuti umanitari e basi militari: la Turchia si prende il Corno d’Africa

Africa. Ankara a rafforza la sua presenza in Somalia, Sudan e altre aree lungo il Mar Rosso. Crescono le tensioni con le monarchie del Golfo, anch'esse presenti con forti interessi in quella regione


“Yeni Osmanlıcılık”, in turco “Neo-Ottomanesimo”. Questa espressione è usata in riferimento al disegno strategico che la Turchia di Recep Tayyip Erdogan cerca di realizzare nelle aree geografiche che per secoli avevano fatto parte dell’Impero Ottomano. Qualcuno storce il naso quando si parla di Neo-Ottomanesimo ma non ci sono dubbi sulle ambizioni di Erdogan. E se sono ben evidenti in Siria, nei Balcani o in Nordafrica, dove appoggiando il Gna di Fayez el Sarraj contro il generale Haftar, Ankara tiene a bada avversari come gli Emirati e l’Arabia saudita, meno note ma non meno importanti sono quelle nel Mar Rosso e nel Corno d’Africa. Da lì Erdogan tiene d’occhio la porta posteriore della Penisola Arabica e i traffici commerciali (e non solo) che transitano per quelle acque. La collaborazione offerta dai servizi segreti turchi di base in Somalia nelle trattative che hanno portato alla liberazione di Silvia Romano, conferma quanto sia radicata la presenza di Ankara in quel paese tormentato da guerre e miseria e posizionato lungo lo Stretto di Bab el Mandeb che collega il Mar Rosso all’Oceano Indiano.

Erdogan all’inaugurazione dell’aeroporto di Mogadiscio nel 2015

L’influenza della Turchia nel Corno d’Africa di recente è tornata sotto i riflettori dopo l’incarico dato da Mogadiscio ad Ankara di fare esplorazioni petrolifere nei suoi mari. Un annuncio preceduto dal contestato accordo marittimo firmato dalla Turchia con il governo di Tripoli. Erdogan comunque in Somalia c’è da lungo tempo. Nel 2017, per fare un esempio, è stato inaugurato un enorme centro di addestramento turco di truppe somale. Non è certo un caso che l’ambasciata turca più ampia per dimensioni sia stata edificata proprio in Somalia. Negli ultimi dieci anni le ong islamiste turche sono state la testa di ponte di Erdogan per espandere la sua influenza nel Mediterraneo e in altre aree. Ad aprire nel 2011 la strada verso la Somalia alle imprese, alle forze armate e ai servizi segreti della Turchia è stato proprio l’aiuto umanitario: generi di prima necessità, medicine, edilizia leggera, ospedali da campo. Poi è arrivata la partecipazione alla ricostruzione. La Turchia è stata tra i primi Stati a riprendere le relazioni diplomatiche con la Somalia dopo la fase più acuta della guerra civile. E il primo a riprendere i voli verso Mogadiscio. Oggi, oltre all’aeroporto della capitale, imprese turche gestiscono anche il principale porto marittimo.

Il Corno d’Africa (foto Arab Gulf States Institute)

Lo sfruttamento delle risorse energetiche, a partire dal petrolio offshore della Somalia, è uno dei pilastri della presenza di Ankara nel Corno d’Africa. Erdogan sta mettendo le mani anche sul Sudan dove ha confermato con le nuove autorità “rivoluzionarie” i 13 accordi siglati a Khartoum qualche anno fa con il presidente rimosso Omar al Bashir che porteranno in fururo gli interscambi tra le due economie a 10 miliardi di dollari all’anno e al completamento di una base militare turca sull’isola di Suakin. Gli interessi economici sono prevalenti. Tuttavia Ankara nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso vuole anche contrastare gli interessi delle rivali petromonarchie del Golfo che considerano quei territori come la loro retrovia strategica da proteggere da nemici vecchi e nuovi. Erdogan dall’Africa non manca di dare una mano all’amico Qatar impegnato da quasi tre anni in un duro scontro diplomatico ed economico – e di immagine – con l’Arabia saudita e i suoi alleati. Per questo gli Emirati accusano Mogadiscio di essersi schierata con Doha, sotto la pressione turca. La Somalia risponde denunciando le interferenze di Abu Dhabi in Somaliland che minerebbero la sua stabilità.

Erdogan esporta nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso rivalità che destabilizzano un contesto già vulnerabile, caratterizzato da una crescente presenza militare straniera. Riyadh intende costruire una sua postazione armata a Gibuti che già ospita basi di cinque paesi, tra cui una italiana. Reparti sauditi sono presenti ad Assab in Eritrea dove già esiste una base emiratina. Inoltre le esplorazioni petrolifere turche nelle acque somale rischiano di aprire una controversia con il Kenya poiché i giacimenti si trovano in una zona marittima al centro di una disputa da lungo tempo sul tavolo della Corte internazionale di giustizia. A ciò si aggiunge la preoccupata attenzione che le mosse di Erdogan suscitano in Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Israele

 

Turchia alla conquista del Corno d’Africa tra petrolio e basi militari

Ennio Remondino 12 maggio

 

Seguito di Al Shabaab: Ankara a rafforza la sua presenza in Somalia, Sudan e altre aree lungo il Mar Rosso. Crescono le tensioni con le monarchie del Golfo, anch’esse presenti con forti interessi in quella regione. La Turchia nel rilascio di Silvia Romano

Dalla Somalia a tutto il Corno d’Africa

 Neo-Ottomanesimo»,un modo per indicare il disegno strategico che la Turchia di Erdogan cerca di realizzare nelle aree che per secoli erano state parte dell’Impero Ottomano. «Qualcuno storce il naso  ma non ci sono dubbi sulle ambizioni di Erdogan». Segnali evidenti in Siria, nei Balcani o in Nordafrica. «Meno nota ma non meno importante  la presenza turca nel Mar Rosso e nel Corno d’Africa».

Sultano Erdogan e Silvia Romano

Da Corno d’Africa, lo spuntone d’Africa verso la Penisola Arabica e i traffici commerciali e non solo che si muovono su quelle acque.

Attualità ultima, ultimissima, la collaborazione offerta dai servizi segreti turchi di base in Somalia nelle trattative che hanno portato alla liberazione di Silvia Romano. Notizia ormai certa, a prescindere dalla forzatura dell’agenzia di stampa Turca Anadolu, col fotomontaggio della mezzaluna turca comparsa sull’italianissimo giubbetto antiproiettile fatto indossare dai nostri servizi segreti alla neo liberata Silvia.

«Conferma quanto sia radicata la presenza di Ankara in quel paese tormentato da guerre e miseria e posizionato lungo lo Stretto di Bab el Mandeb che collega il Mar Rosso all’Oceano Indiano».

Impero turco Somalia e petrolio

L’influenza della Turchia nel Corno d’Africa è diventata ufficiale e invidiata con l’incarico dato da Mogadiscio ad Ankara di fare esplorazioni petrolifere nei suoi mari. Il seguito del contestato accordo marittimo firmato dalla Turchia con il governo di Tripoli, ‘acque libiche’ estese a convenienza sino a Cipro e oltre. Prossime ‘quasi guerre’ di perforazioni. Ma restiamo il Somalia dove Erdogan c’è da lungo tempo. «Nel 2017, per fare un esempio, è stato inaugurato un enorme centro di addestramento turco di truppe somale. Non è certo un caso che l’ambasciata turca più ampia per dimensioni sia stata edificata proprio in Somalia».

Le Ong islamiste turche

«Negli ultimi dieci anni le ong islamiste turche sono state la testa di ponte di Erdogan per espandere la sua influenza nel Mediterraneo e in altre aree».

Aiuto umanitario strategico: «Ad aprire nel 2011 la strada verso la Somalia alle imprese, alle forze armate e ai servizi segreti della Turchia è stato proprio l’aiuto umanitario: generi di prima necessità, medicine, edilizia leggera, ospedali da campo». Emergenza e poi ricostruzione. La Turchia tra i primi Stati a riprendere le relazioni diplomatiche con la Somalia e i voli verso Mogadiscio. «Oggi, oltre all’aeroporto della capitale, imprese turche gestiscono anche il principale porto marittimo». Lo sfruttamento delle risorse energetiche, a partire dal petrolio offshore della Somalia, ma non solo Africa costiera, mare e petrolio.  

Il Sudan rivoluzionario filo turco

La Turchia ha confermato anche con le nuove autorità ‘rivoluzionarie del Sudan’ i 13 accordi commerciali siglati qualche anno fa con il presidente rimosso Omar al Bashir. Interscambi da 10 miliardi di dollari all’anno,  e al completamento di una base militare turca sull’isola di Suakin. Gli interessi economici sono prevalenti ma anche quelli militari pesano.  Ankara nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso vuole tenere a bada le petromonarchie del Golfo che considerano quei territori come la loro retrovia. «Erdogan esporta nel Corno d’Africa e nel Mar Rosso rivalità che destabilizzano un contesto già vulnerabile, caratterizzato da una crescente presenza militare straniera», la sintesi di Michele Giorgio sul Manifesto

Il Corno armato

«Riyadh intende costruire una sua postazione armata a Gibuti che già ospita basi di cinque paesi, tra cui una italiana.

  • Reparti sauditi sono presenti ad Assab in Eritrea dove già esiste una base emiratina.
  • Inoltre le esplorazioni petrolifere turche nelle acque somale rischiano di aprire una controversia con il Kenya poiché i giacimenti si trovano in una zona marittima al centro di una disputa da lungo tempo sul tavolo della Corte internazionale di giustizia.
  • A ciò si aggiunge la preoccupata attenzione che le mosse di Erdogan suscitano in Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Israele».
 

Silvia Romano libera grazie alla Turchia impegnata alla conquista dell’Africa

  14 Maggio 2020

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
 

La liberazione della volontaria italiana Silvia Romano si deve grazie e soprattutto all’intervento dei servizi di intelligence turchi che negli ultimi anni hanno costruito una rete capillare di agenti e informatori che si sono sostituiti a quella che l’Italia aveva costruito a partire dagli anni 60, quelli delle indipendenze africane.

Grazie a ingenti investimenti e alla diffusione capillare della sua compagnia di bandiera, Turkish Airlines, ma anche dei suoi operatori commerciali, la Turchia ha battuto la concorrenza occidentale, in Somalia timida e assonnata. Probabilmente in silenzio e senza clamore la penetrazione Turca è cominciata nel 1993 quando capo della missione internazionale UNISOM II (United Nations Operation in Somalia II) divenne ingenerare turco Çevik Bir.

Più recentemente, nel 2011 Recep Tayyip Erdogan, allora primo ministro della Turchia, si reca in Somalia, in ginocchio da fame e carestia. Dopo 20 anni è il primo capo di governo non africano a vistare Mogadiscio, accompagnato da moglie e figlia e una folta delegazione di ministri e membri di gabinetto. Pochi giorni prima di questa visita, Ankara e altre nazioni musulmane avevano stanziato 350milioni di dollari per combattere fame e siccità nel Paese.

Erdogan vuole conquistare il cuore dei somali, capire le reali necessità della ex colonia italiana. E l’allora ministro degli Esteri, Ahmet Davutoğlu, definito da molti osservatori dell’epoca come “il cervello che sta dietro al risveglio globale della Turchia”, aveva annunciato di voler aprire l’ambasciata nella capitale somala per sfatare il mito di una città off limits.

Durante questo soggiorno è stato annunciato che Ankara avrebbe ricostruito la strada che porta da Mogadiscio all’aeroporto internazionale, ripristinato un ospedale, costruito scuole e trivellato pozzi d’acqua.

Nel 2014 viene affidato al gruppo turco Albayrak la ricostruzione e la manutenzione del porto di Mogadiscio con un contratto della durata di 20 anni.

Un anno dopo Ankara agisce in qualità di mediatore tra la Somalia e il Somaliland, ex protettorato britannico che nel 1991 ha proclamato la propria indipendenza.

Nel 2016 Erdogan apre la nuova ambasciata sul lungomare di Mogadiscio, la più grande e più moderna sede diplomatica turca in tutta l’Africa. E, in tale occasione il presidente afferma: “I nostri progetti nel Paese procedono”.

Dopo due anni di lavori, nell’autunno del 2017 viene inaugurata a Mogadiscio la più grande base militare turca all’estero, costruita su 4 chilometri quadrati, è ubicata vicino al mare e non lontana dall’aeroporto per un costo complessivo che ha superato 50 milioni di dollari. Un insediamento importante nel Paese; Ankara si era focalizzata finora su aiuti umanitari e scambi economici. La costruzione di un’altra base militare in Africa era prevista in Sudan, accordo preso con Omar al Bashir nel 2018. Progetto ora in stand-by dopo la caduta dell’ex dittatore sudanese.

Per rafforzare i suoi legami con il Qatar, Erdogan ha fatto realizzare una nuova base militare vicino a quella turco-qatariota Tariq ibn Ziyad, già attiva dal 2015. La presenza dei turchi nel Golfo Persico e l’amicizia con il Qatar non è per nulla gradita dalle altre nazioni dell’area: Arabia Saudita, Emirati, Bahrein e dal loro alleato Abdel Fattah al-Sisi, presidente dell’Egitto.
Nel Cipro Nord, invece, è presente militarmente dal 1974.

L’infrastruttura di Mogadiscio è stata progettata per la formazione delle forze armate somale per poter contrastare i terroristi di al- Shebab e può accogliere oltre 1.000 soldati contemporaneamente; l’addestramento viene effettuato da personale militare turco.

Negli anni i turchi hanno speso oltre un miliardo di dollari in aiuti per la Somalia. Insomma, grazie ai contributi umanitari e all’intervento dei diplomatici, Ankara ha saputo imporsi militarmente e economicamente in Somalia. Tantoché all’inizio di quest’anno il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo ha invitato Erdogan a cercare petrolio nei suoi mari, precisando: “Visto che lo fai in Libia, puoi farlo pure qui”. Infatti accordi in tal senso sono stati firmati a fine novembre a Istanbul tra Fayez al Serraj, presidente del Consiglio Presidenziale e Primo ministro del Governo di Accordo Nazionale della Libia, riconosciuto dall’ONU e la sua controparte turca.

I rapporti Italia-Turchia si sono nuovamente stabilizzati dopo una parentesi di tensione nel 2016 perchè il terzogenito di Erdogan, Bilal era stato indagato dalla Procura di Bologna per riciclaggio di denaro. All’epoca il giovane si trovava in Italia per motivi di studio. L’indagine era partita da un esposto presentato dal Muran Hakan Huzan, imprenditore e oppositore del partito islamico-conservatore di Erdogan, Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo).

La vicenda aveva scatenato l’ira del presidente turco a un tal punto da attaccare la nostra magistratura con testuali parole: “L’Italia si occupi piuttosto della mafia”, precisando che il fatto avrebbe potuto mettere a rischio i rapporti con il nostro Paese. Ne è seguita una risposta secca dell’allora presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e una nota dell’Associazione nazionale magistrati. L’indagine è stata infine archiviata nel gennaio 2017 in quanto l’autore dell’esposto non poteva essere sentito dagli inquirenti, perchè residente in Francia con lo status di rifugiato politico.

Il nostro Paese è il quarto partner commerciale di Ankara; in Italia operano 50 aziende turche, mentre quelle italiane presenti in Turchia sono ben 1.400; i principali settori degli scambi economici sono quello automobilistico, difesa e  infrastrutture.

La presenza di Ankara in Africa è imponente. Basti pensare che le sue rappresentanze diplomatiche sono presenti in 40 Paesi e la sua compagnia aerea, la Turkish Airlines, copre 58 destinazioni nel continente nero. E non per ultimo Agenzia di cooperazione e di sviluppo turca (Tika) è attiva in molti Stati africani anche con lo scopo di promuovere investimenti.


 

Il nuovo piano per la Libia ha la firma di Hakan Fidan


 
 

14 Maggio 2020


Il capo dei servizi segreti turchi Hakan Fidan all’inizio di maggio ha vistato la Libia. Successivamente si sono verificati una serie di eventi non chiariti che ricordano la messa in scena con la quale la Turchia ha motivato i suoi attacchi di occupazione contro la Siria del nord.

In Libia le cose non vanno secondo i desideri dello Stato turco. Le strutture della Fratellanza Musulmana, nelle quali il regime AKP/MHP ripone tutte le sue speranze, non mostrano la performance desiderata nei confronti del generale Chalifa Haftar. Dato che il trasferimento di mercenari dalla Siria in Libia, l’invio di soldati turchi, il sostegno di intelligence e il doping con le armi e i mezzi militari più disparati non portano ai risultati voluti, lo Stato turco verifica la possibilità di un intervento diretto.

Gli sviluppi delle ultime due settimane

Nelle ultime due settimane sono successe molte cose: i grandi attacchi organizzati dallo Sato turco alla città di Tarhuna e alla base aerea Watiiya 65 chilometri a est di Tripoli sono andati a vuoto. L’UE ha riavviato la missione IRINI per controllare l’embargo sulle armi alla Libia, addestrare la famigerata guardia costiera libica e respingere i profughi. Il trasferimento di jihadisti dalla Siria è aumentato. Il capo dei servizi segreti turchi Hakan Fidan ha visitato la Libia. Il capo dei servizi segreti del governo Sarraj sostenuto dalla Turchia, è stato assassinato a Tripoli. Dopo che Khalid al-Sharif, in membro di Al-Qaida inviato a Tripoli dalla Turchia, ha assunto il comando militare, nella città ci sono stati attacchi missilistici e la Turchia ha nominato il generale Haftar „obiettivo legittimo“.

Scenario siriano in Libia

Gli sviluppi in Libia ricordano la dichiarazione del capo del MIT Hakan Fidan in una riunione nell’anno 2014 quando si trattava di creare i presupposti per un’occupazione della Siria: „Come motivazione mando quattro uomini dall’altra parte e gli faccio lanciare dei missili in un’area vuota.“

Se riavvolgiamo la pellicola per poter vedere più chiaramente gli sviluppi in Libia e la vista di Hakan Fidan, si crea un quadro più preciso degli obiettivi dello Stato turco.

Gli sviluppi nel mese scorso si possono riassumere come segue:

„Vulcano della Rabbiadello Stato turco

In un periodo in cui il segretario generale dell’ONU Guterres per via della pandemia da coronavirus ha fatto appello per una tregua a livello mondiale, lo Stato turco a metà aprile ha avviato l’operazione „Vulcano della Rabbia“ contro le truppe del generale Haftar. Nell’ambito delle operazioni alcune località al confine con la Tunisia e le città Sabratha e Surman sono state occupate dalle forze del „governo di unità nazionale“ sotto Fayiz as-Sarraj.

Il portavoce dello „Esercito Nazionale Libico“ nemico, Ahmed al-Mismari, in proposito ha dichiarato che l’avanza è stata coordinata da ufficiali turchi e che a Surman e Sabratha si trovano miliziani di raggruppamenti come al-Qaida, IS e Ansar ash-Shariat.

Inoltre viene dichiarato che il famigerato capo libico dei trafficanti di esseri umani Ahmed Dabashi, che nel 2018 è stato messo sulla lista nera dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU per tratta, ha guidato il commando nell’attacco a Sabratha.

Questa è stata solo una delle prestazioni dello Stato turco che da molto tempo è impegnato a rendere la Libia un porto sicuro per gruppi jihadisti.

Dopo questi attacchi l’ „Esercito Nazionale Libico“ del generale Haftar si è di nuovo raccolto e ha inflitto duri colpi all’esercito turco in diversi luoghi, in particolare a Tripoli e Misrata.

Dato che lo Stato turco con la sua operazione „Vulcano della Rabbia“ non ha potuto conquistare la città di Tarhune e la base aerea Watiya come desiderato, sono stati avviati altri trasporti di militari verso la Libia.

Vista in Libia di Hakan Fidan

Secondo una notizia del 7 maggio sulla pagina di al-Arabia il capo dei servizi segreti turchi Hakan Fidan la settimana precedente si era recato in Libia. Nella notizia inotlre si parla del trasferimento in Libia di unità speciali turche e di un gran numero di jihadisti dalla Siria.

Il viaggio in Libia di Hakan Fidan quindi deve essere avvenuto all’inizio di maggio. Il Presidente turco Tayyip Erdogan il 5 maggio si è presentato davanti alle telecamere e ha dichiarato: „Inshallah preso riceveremo notizie liete dalla Libia.“

Il viaggio di Fidan evidentemente deve aver suscitato in Erdogan grandi speranze. Immediatamente dopo la vista tuttavia in Libia si è verificata una serie di eventi.

Ucciso il capo dei servizi segreti del governo Sarraj

In primo luogo Abdul Qadir Al-Tohamy, il capo dei servizi segreti del governo di unità nazionale a Tripoli, ha perso la vita in circostanze misteriose. Inizialmente si è parlato di un infarto, secondo fonti vicine a Haftar al-Tohamy invece sarebbe stato sequestrato e torturato a morte da membri della „Brigadta al-Nawasi“. Al-Nawasi è una milizia del governo Sarraj.

Comando militare su Tripoli consegnato a al-Qaida

Un altro sviluppo avvenuto in tempi vicini alla vista di Hakan è stato il passaggio del comando militare a Tripoli al membro di Al-Qaida Khalid al-Sharif. Secondo informazioni dal comando dell’esercito di Haftar, al-Sharif è stato trasferito al comando a Tripoli su spinta dello Stato turco.

Al-Sharif, che usa il nome in codice Abu Hazim al-Libi, ha soggiornato per un periodo di Turchia e si trova al vertice del cosiddetto „Gruppo Militare Libia“. Come uomo dietro le quinte di diversi attacchi contro civili in Libia è sulla lista dei ricercati dell’ „Esercito Nazionale Libico“ sotto il generale Haftar.

Attacchi missilistici sospetti contro ambasciate

Immediatamente dopo hanno avuto luogo attacchi con missili Grad contro le ambasciate della Turchia e dell’Italia a Tripoli. Tre persone hanno perso la vita, quattro sono rimaste ferite. Sia il timing sia gli obiettivi – la Turchia e l’Italia sostengono il governo di unità nazionale sotto Sarraj – tuttavia suscitano attenzione.

Il Ministero degli Esteri turco dopo l’attacco ha dichiarato: „Se vengono attaccate le nostre rappresentanze e i nostri interessi in Libia, ribadiamo nuovamente che noi consideriamo elementi di Haftar obiettivi legittimi.“

Ripetizione dello scenario siriano

Questi sviluppi ricordano la registrazione audio diffusa nel 2014 su Internet in una riunione segreta sulla questione siriana alle quale presero parte l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri turco Ahmet Davutoğlu, Feridun Sinirlioğlu come segretario di Stato del Ministero degli Esteri, il generale Yaşar Güler come secondo capo di stato maggiore e Hakan Fidan come capo del MIT.

Nella riunione si parlò di un motivo per un intervento in Libia. Nella registrazione audio si sente la voce di Hakan Fidan: „Mando quattro uomini dall’altra parte e gli faccio lanciare otto missili in un’area vuota. Questo non è un problema. Una ragione si può creare.“

Il 24 agosto 2016, quattro giorni prima che iniziasse l’operazione di occupazione turca a Jarablus, Azaz e al-Bab in Siria del nord, lo Stato turco ha organizzato un attacco sanguinoso di IS a un matrimonio curdo a Dîlok (Antep).

Nello stesso modo prima dell’occupazione di Efrîn si è sostenuto che da lì erano state lanciate granate contro Hatay. Più tardi apparvero riprese nelle quali si vedeva che il lancio era avvenuto dalla Turchia. Anche prima dell’occupazione di Girê Spî (Tall Abyad) e Serêkaniyê (Ras al-Ain) nello scorso autunno la stessa affermazione è stata usata per poter argomentare presunti „interessi di sicurezza della Turchia“.

di ERSIN ÇAKSU

Fonte: ANF

 

 
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